Gli “edifici intelligenti” di ieri hanno molto da insegnare a quelli di oggi: soluzioni architettoniche e materiali sostenibili dell’antichità possono ancora tornare utili per affrontare le sfide climatiche del presente.

Il genere umano, per sopravvivere, è sempre stato capace di adattarsi all’ambiente. Nell’ultimo paio di secoli, però, l’impressione è che uomo abbia voluto sopraffare l’ambiente anziché adeguarsi a una mite convivenza.

Nell’edificare le città, ad esempio, si sono spesso adottati processi non sostenibili, soprattutto nella scelta dei materiali costruttivi. L’edilizia convenzionale sfrutta infatti il cemento e i laterizi per le strutture portanti, le lane minerali e il polistirene espanso per l’isolamento termico. C’è inoltre un ampio utilizzo di prodotti chimici come additivi cementizi, colle, sigillanti, adesivi, vernici, materie plastiche e membrane bituminose che comportano processi produttivi energivori e un difficile smaltimento o riciclo.

Non è un caso se circa il 40% del totale delle emissioni di CO2 proviene dagli edifici e dalla loro costruzione, e se il 25% dei materiali che finisce in discarica ha origine dal mondo dell’edilizia.

Riscoprire le tecniche costruttive tradizionali e quei materiali sostenibili che hanno caratterizzato la nostra storia può essere un modo per iniziare a ripensare il futuro dei nostri edifici.

Abbiamo esplorato in un precedente articolo come nell’antichità esistessero “edifici intelligenti”, efficienti e rispettosi dell’ambiente ben prima degli Smart Building. Oggi ci focalizziamo su quei materiali sostenibili usati nel passato da cui possiamo prendere spunto per tornare a costruire edifici in armonia con il pianeta.

Gli antichi edifici intelligenti si costruivano con la terra cruda

La terra cruda è un materiale da costruzione usato dall’uomo da tempo immemorabile. Si tratta di un composto di argilla e inerti naturali, impastato con acqua ed essiccato all’aria.

Materiale ecologico antichissimo, la terra cruda ha dato origine a diverse tecniche di costruzione. Tra queste c’è il pisé, la cosiddetta “terra battuta”, miscela di terra umida pressata in casseforme di legno. I blocchi di terra battuta erano utilizzati per la costruzione di muri, che avevano la qualità di essere resistenti, atossici, ignifughi e biodegradabili.

Altra soluzione era l’adobe, che in spagnolo significa “mattone di fango”. L’adobe era ottenuto da un impasto di sabbia, argilla, acqua e fibre vegetali, inserito in stampi ed essiccato al sole. La città più antica conosciuta con case in adobe è Çatalhöyük, in Turchia, che risale al VII millennio a.C. Si trovano abitazioni in adobe anche nella Spagna sud-orientale, in Sardegna e soprattutto in Sicilia, dove prima i cartaginesi e poi gli arabi fecero conoscere questa tecnica.

Anche la Grande Muraglia Cinese è stata originariamente costruita in terra battuta, per poi essere in seguito rivestita di pietre. La Grande moschea di Djenné in Mali è il più grande edificio al mondo realizzato con mattoni di terra cruda.

Oggi c’è una rinnovata attenzione per la terra cruda. È infatti riciclabile per un numero altissimo di volte e difficilmente diventa materiale di scarto. Altro valore aggiunto che la fa entrare di diritto fra i materiali sostenibili del passato utili al futuro è il fatto che per la sua produzione è necessaria solamente l’1% dell’energia che si consuma per ottenere i laterizi o il cemento armato.

Chi ha fatto tesoro di questa lezione del passato? Il famosissimo studio di architettura Zaha Hadid architects ha adottato la terra cruda per realizzare pavimenti, pareti e soffitti nel futuristico progetto del Messner Mountain Museum a Plan de Corones (BZ).

Materiali sostenibili: con il sārūj si conservava il ghiaccio nel deserto

Una combinazione di tecniche ingegneristiche e materiali efficienti e sostenibili ha permesso ai Persiani di conservare il ghiaccio nel deserto. Già a partire dal IV sec. a.C., grazie all’uso di sistemi di raffrescamento passivo, le antiche popolazioni dell’Iran erano infatti capaci di proteggere i beni deperibili dal caldo asfissiante.

Lo facevano con strutture chiamate Yakhchal, ossia “Fosse del Ghiaccio“, edifici a forma di trullo che sfruttavano l’evaporazione dell’acqua e speciali sistemi d’aerazione (le “torri del vento”) per tenere bassa la temperatura degli ambienti interni.

Nella forma conica che sormontava la struttura, l’aria calda veniva spinta verso l’alto, lasciando spazio a quella fredda che entrava dal basso. All’interno dello Yakhchal, in una zona sotterranea, era custodito il ghiaccio, fondamentale per conservare i cibi. Gli Yakhchal funzionavano dunque da celle frigorifere naturali.

A rendere freschi e isolati gli ambienti contribuiva anche un materiale speciale, il sārūj. Questa specie di cemento era composto da sabbia, argilla, albume d’uovo, calce, peli di montone e cenere, mescolati in determinate proporzioni. Con il sārūj si realizzavano muri spessi due metri, totalmente impermeabili e con un’alta resistività termica.

L’efficienza combinata delle correnti d’aria, incanalate in modo da rinfrescare l’edificio, e del potere isolante del sārūj era dunque sufficiente a creare ambienti molto freddi anche in piena estate.

Materiali sostenibili: il calcestruzzo eco-friendly degli Antichi Romani

Gli edifici costruiti nell’Antica Roma non solo erano così resistenti da essere giunti fino a noi, ma pare fossero anche molto più ecologici di quelli odierni. Il motivo di queste ottime performance si trova nel tipo di calcestruzzo utilizzato.

Impiegato per costruire monumenti come il Pantheon, ma anche banchine, frangiflutti e strutture portuali, il calcestruzzo romano era composto da materiale vulcanico. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Berkeley ha dimostrato il suo ridotto impatto ambientale, calcolando che la sua produzione comportava bassissime emissioni carboniche.

Si trattava poi di un materiale estremamente resistente. Il suo segreto era nella composizione, che comprendeva cenere vulcanica di origine campana combinata con la calce. La malta così formata era inserita assieme a frammenti di roccia in stampi di legno, che venivano poi immersi in acqua salata. Grazie a questo procedimento, il calcestruzzo romano acquisiva solidità e poteva sopportare le sollecitazioni di ambienti particolarmente aggressivi come quelli marini.

Si ritiene che sarebbe possibile riprodurre quel tipo di materiale ancora oggi, ma i lunghi tempi di asciugatura sarebbero un limite. Tuttavia, molti ricercatori stanno studiando soluzioni per adattare questo antico materiale eco-friendly alle esigenze della bioedilizia.

Blu egiziano, il colore dell’efficienza energetica

Anche un colore può essere annoverato tra i materiali edilizi sostenibili? Sì, se parliamo del “blu egiziano”, pigmento derivato dal silicato di rame e calcio. Sviluppato appunto nell’Antico Egitto, il colore blu veniva utilizzato per dipingere le raffigurazioni delle divinità e dei reali.

Studi recenti hanno dimostrato che, quando assorbe la luce visibile, il blu egiziano emette luce nella gamma del vicino infrarosso. Questa caratteristica lo rende un materiale che, se applicato alle superfici di un edificio, può aumentarne l’efficienza energetica.

I ricercatori americani del Lawrence Berkeley National Laboratory hanno infatti constatato che le superfici rivestite di blu egiziano esposte alla luce solare emettono quasi il 100% dei fotoni che assorbono. Dipingere quindi tetti e pareti con questo pigmento aiuterebbe a raffreddare gli ambienti e quindi a risparmiare i consumi di energia per il raffrescamento.

Oltre a rinfrescare gli edifici, il blu egiziano potrebbe supportare anche la produzione di energia solare. Se si rivestono le finestre con questo pigmento, le celle fotovoltaiche posizionate ai loro lati possono infatti convertire l’energia fluorescente in elettricità.

Sebbene il bianco sia comunque la scelta più efficace per tenere fresco un edificio, i proprietari di immobili preferiscono spesso altri colori per questioni estetiche. Il blu egiziano può essere dunque un’ottima alternativa, oltre a rientrare senza dubbio fra i materiali sostenibili che poco impattano sull’ambiente.